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L’Accademia del Dialetto Nocese protagonista all'UTEN

Si è tenuta ieri sera presso la sede Uten la conferenza stampa che ha visto protagonista ancora una volta l’Accademia del Dialetto Nocese. In questa occasione è stato annunciato quanto promesso durante la manifestazione del 7 agosto, "Tutte i pète servene o puarète", che vide partecipare innumerevoli dialettofoni al progetto di arricchire il Dizionario Etimologico del dialetto nocese pubblicato in precedenza: restituire quanto la comunità ha ‘prestato’.

Un Mario Gabriele, evidentemente soddisfatto ed emozionato, ha così svelato che sono ben più di 800, tra lemmi, espressioni idiomatiche, proverbi e indovinelli, le nuove voci che andranno a formare l’appendice al Dizionario. Così Gabriele ha voluto dare prova di cosa possa fare la condivisione di un pane comune come la lingua, di cosa possa scovare un’operazione culturale di inclusione come quella condotta dall’Accademia. Una nuova voce che racchiude in sé tutta quella «vertigine del viaggio» di cui parla sempre il poeta: assucuè u muère ca cózze. «Dietro queste poche parole – spiega Gabriele – si cela il famoso exemplum medievale che ha come protagonista S. Agostino». La storia vuole che Agostino camminava lungo il mare. Mentre era assorto in profonde riflessioni, poiché stava scrivendo un trattato sulla Trinità, incontrò un bambino che, scavata una buca, cercava di travasare il mare in essa con una conchiglia. Agostino cercò di persuaderlo da quella fatica vana. Quindi il bambino rispose: e come potrai tu, piccola creatura della terra, con la tua limitata intelligenza comprendere un mistero così alto, quale è quello della Trinità? Detto ciò, il piccolo scomparve. «Nel nostro dialetto – ha spiegato il poeta – la conchiglia è diventata la cozza, ma in questa espressione c’è qualcosa di più: in quel assucuè risiede qualcosa di profondo. Il mare non si può asciugare, le lacrime sì. Per me quello indica il mare di lacrime». Così la parola è passata a Giovanni Laera, Dottore di Dottore in linguistica italiana, il quale ha concentrato il suo intervento attorno alla capacità del dialetto di esprimere concetti o sentimenti complessi, capacità questa sempre messa in dubbio e osteggiata. Anche qui un’espressione emblematica: l’anema majje scrèssce aquuanne u sòle créssce. «Questi versi, così delicati, due perfetti settenari, potrebbero essere scambiate come la traduzione in dialetto di qualche verso di Corazzini, nel loro crepuscolarismo esprimono anche un concetto scientifico: il depresso infatti vive la sua maggiore difficoltà proprio al mattino». Questi due esempi mostrano senza dubbio il grande merito di questa Accademia, quello di aver spinto gli uomini e le donne di questa terra, in cui ci sono innumerevoli termini per dire schiaffo e nessuno per dire amore, a formare comunità, la comunità che è scambio di esperienze e messa in comunione di vite, di beni, di Lingua. Per continuare in questa direzione, a breve sarà istituito un blog dell’Accademia su internet in cui saranno pubblicati i risultati delle ricerche condotte e a cui ci si potrà rivolgere per porre domande. Come affermato da Giuseppe Liuzzi, uno dei protagonisti di questo nuovo blog, il nuovo spazio su internet sarà «un modo per facilitare la condivisione di sapere, un modo libero di parlare di dialetto per una maggiore facilità di consultazione e un modo per essere sempre aperti all’interazione».

L’appuntamento è quindi per il 3 ottobre alle 19:00, presso la Sala Convegni in Via Pio XII, nell’ambito della manifestazione “Tutte i paròle so fiure” in cui le nuove voci del vocabolario saranno restituite alla comunità e in cui saranno esposte le nuove iniziative dell’Accademia.

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